Se potesse Silvia si recherebbe al lavoro in carrozza. Ma un autobus di linea va bene lo stesso. Basta guardarlo con gli occhi giusti e sognare di vivere, comunque, in un mondo fatato.
Chiara ha appena inforcato la sua mountain bike e si avvia decisa, incurante del traffico e dei clacson.
Gilda chiamerebbe volentieri un taxi, ma si impone di muoversi a piedi, perché tra le priorità c’è la necessità di svegliarsi. Finalmente.
Catherine si muove in metro seguendo il percorso abituale: “Ciao Fru Fru, buona giornata!” (dice al gatto della portiera) – “Grazie e a domani” (al giornalaio all’angolo, dopo aver ritirato il quotidiano preferito) – “Oggi è il giorno del girasole, ne porto via uno” (alla fioraia, primo negozio a destra vicino alla fermata)…
… Lo stridio dei pneumatici sull’asfalto è lungo e agghiacciante. Chi non si è girato a guardare, per istinto tiene gli occhi socchiusi e interrompe il respiro, in attesa del botto. Un urlo soffocato gela l’aria. Segue un tonfo e i guaiti squarciano l’aria e i sentimenti dei presenti.
Silvia era lì, ha visto tutto. Chiara con un colpo di pedali raggiunge in un attimo il capannello di persone. Gilda ha perso il ricordo della stanchezza e corre nella direzione dove c’è movimento. A Catherine è bastato girarsi indietro, era già lì, ma le manca il coraggio di riaprire gli occhi che ha appena chiuso.
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